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Ca n’Andreu des Trull, un viaggio nel passato dell’isola

Si tratta di un Bien de Interés Cultural (BIC), un Bene di Interesse Culturale inserito nella categoria dei siti storici dagli anni ‘90 del secolo scorso, trasformato in una casa museo che descrive la vita rurale ibizenca di un tempo. Questo gioiello appartiene al Comune di Santa Eulària dal dicembre 2013, e grazie all’intenso lavoro svolto da un’équipe multidisciplinare guidata dalla direttrice Marga Guasch, offre l’opportunità di un vero e proprio viaggio nel tempo, una visita come un’esperienza immersiva alla scoperta delle tradizioni più autentiche legate alla vita di campagna, caratterizzata da un profondo legame con la terra, quando i ritmi erano ancora scanditi dalla natura e non dalle esigenze del turismo.

Ma cosa si intende per “Casa payesa” o “casament”? Questi termini indicano i tradizionali edifici rurali ibizenchi, spazi che prediligono la sintesi e la funzionalità degli interni e delle aree esterne, adibite al lavoro agricolo e all’allevamento. Pianta quadrata, muri spessi puntellati da porte e finestre minimali per preservare il fresco in estate e il calore del focolare in inverno, e tetti piani per raccogliere la scarsa acqua piovana, costituiti da una sovrapposizione di tavole di legno di ulivo, o di canne, strati di alghe, carbone e argilla, il tutto sostenuto da travi di ginepro o di pino. Erano i contadini stessi a costruirli, utilizzando pietre e materiali locali: partivano sempre da un singolo nucleo al quale, con il passare del tempo, si aggiungevano altre parti abitative dette “case”, tutte con un nome specifico per designare la loro funzione. Dalla “casa del vi”, alla “casa de la matança”, un gemmare degli spazi che aumentavano a seconda delle esigenze della famiglia, un vero e proprio gruppo di “case”, “casament” per l’appunto. Nessun vezzo creativo tradisce l’estetica di queste strutture dell’utile che si ripetono seguendo lo stesso schema e con identica funzionalità: le loro geometrie elementari spuntano nell’elegante candore del bianco, il colore tipico che ispirò il pittore Santiago Rusiñol, colui che battezzò Ibiza come “Isla Blanca”.

La casa payesa di Ca n’Andreu è senza dubbio una delle più belle, non solo per aver conservato intatti gli antichi spazi, ma anche per la mobilia originale, gli utensili e altri oggetti di uso quotidiano accuratamente esposti, necessari in una società come quella dell’isola, caratterizzata da un sistema di sussistenza per tanti secoli. All’entrata vi accoglie il “porxo”, ovvero lo spazio centrale della casa da cui si accede al resto dell’abitazione. Un vero e proprio soggiorno multifunzionale che veniva modificato a seconda delle ore del giorno, o in base alla stagione dell’anno e al lavoro da svolgere. Veniva utilizzato come deposito, spazio di lavoro, ma anche come ambiente per gli attimi conviviali, troneggiato da un grande tavolo, panche e sedie per ricevere gli ospiti o svolgere diverse mansioni, e brande per la notte. Da qui si diramano vari spazi e si accede alla cucina, il focolare domestico di un tempo, oggi accuratamente ornato da antichi utensili, pentole di terracotta, canterani, mestoli e tutto l’occorrente che serviva per cucinare e mangiare, oltre ai “cossi”, contenitori per lavarsi con il sapone e la liscivia che venivano prodotti in casa, il primo con l’olio avanzato e la seconda con la cenere dei gusci di mandorla. Piccole testimonianze preziose circondano il grande “trull”, il frantoio per la spremitura delle olive, il quale veniva attivato dalla forza di un animale “de preu” (cavallo o mulo), e il torchio, una pressa ricavata da un tronco di mandorlo che spremeva il succo e l’olio dalla pasta di olive, accuratamente raccolta all’interno dei tradizionali “cofins”, i cesti intrecciati dalle abili mani dei contadini.

Il piano terra ospita anche la “casa de jeure de baix”, ovvero la camera da letto inferiore, la “casa del vi” e la “casa de la matança”. Nella “casa del vino” si pigiava e veniva fatta fermentare l’uva, dopodiché il prezioso liquido era trasferito nelle botti in cui si conservava tutto l’anno. Nella “casa della mattanza” si ponevano alcuni alimenti, formaggi e nella parte più arieggiata, gli insaccati derivati dalla macellazione del maiale come sobrasadas, butifarras, butifarrones e camallots. La “casa de la matança” era anche un ambiente creativo dove si confezionavano espadrillas, si lavorava il legno e si intrecciava i vimini per confezionare cesti e portaoggetti, inoltre si misuravano i prodotti della terra, come testimoniano gli attrezzi esposti, dalle bilance agli strumenti per diverse misure di grano come la “mitja quartera” (35,15 litri) e l’“almud” (1,95 litri).

La scala del “porxo” conduce al primo piano dove si trovano le “cases  de jeure de dalt”, le stanze del piano superiore, ad una piccola zona adibita per la cura della persona, e il portico superiore, utilizzato per essiccare la frutta come albicocche e fichi, ma anche zucche o stringhe di peperoni, e l’aglio che veniva appeso al muro o al soffitto in lunghe trecce.

All’esterno troviamo il “tancat”, il cortile, il “trull”, il frantoio esterno, la “casa del carro”, l’aia con la cisterna e i fienili con le recinzioni per impedire l’accesso al bestiame. Noterete che sono stati aggiunti alcuni elementi che non erano tipici di questa casa o di questo luogo, per mostrare al visitatore una gamma più ampia di modelli di produzione, come un forno per la calce, una ruota ad acqua e un carbonile per ottenere carbone.

Un vero e proprio viaggio nel tempo raccontato con dedizione ed entusiasmo anche dalla Direttrice della casa-museo Ca n’Andreu Marga Guasch, che ci descrive in cosa si basava la sussistenza contadina e le principali produzioni.

“Per quanto riguarda la cucina tradizionale, il pasto quotidiano era basato sui legumi: lenticchie, fave, ceci, fagioli, fagiolini e così via. Si tratta di alimenti con elevati valori nutrizionali, oltre che di sussistenza, in quanto facilmente mantenibili e con una lunga durata di conservazione. La base della dieta quotidiana era la trilogia mediterranea: cereali, olio, uva, prodotti ancestrali del Mediterraneo. I cereali venivano coltivati nel terreno adiacente alla casa, ed erano facili da conservare. A causa della mancanza di precipitazioni, la coltivazione a secco divenne l’attività principale dell’agricoltore, mentre la coltivazione irrigua era molto limitata, solo per le esigenze di ogni famiglia. Esistevano diverse varietà di cereali: grano, orzo, avena, mais, e i chicchi potevano essere trasformati in farina che serviva come cibo per le persone e anche per gli animali della casa. Con il grano si faceva il pane, che veniva cotto una volta alla settimana.”

 

“Un’altra coltivazione essenziale era quella delle olive, che venivano lavorate in vario modo. Oltre a essere conservate con sale, finocchio, buccia di limone, pezzetti di mela cotogna per la consumazione, si faceva l’olio d’oliva, uno dei beni più preziosi dell’isola. Dopo la raccolta si procedeva con la spremitura, una grande festa che si svolgeva in un giorno, per una produzione che durava tutto l’anno, fino alla successiva spremitura. Era un giorno di duro lavoro ma anche di gioia, perché si riunivano parenti e amici e alla fine della giornata tornavano a casa con l’olio che avevano contribuito a produrre. Un tesoro che non veniva utilizzato solo per il consumo, ma anche per mantenere gli alimenti: in un’epoca in cui non esistevano conservanti chimici e frigoriferi, si usava l’olio d’oliva e/o il sale di Las Salinas de Ibiza, conosciuti come “oro liquido” e “oro bianco”, per la loro grande importanza. Infine l’olio raffermo veniva bruciato in piccole lanterne per l’illuminazione.”

“Un’altra produzione molto importante era l’uva. Oltre a essere consumata direttamente come frutto, veniva utilizzata per produrre il vino, che, come l’olio, veniva fatto una volta all’anno e riuniva famiglia e amici. Il vino è un prodotto con importanti valori nutrizionali, vitaminici e digestivi. Nei terreni delle case coloniche venivano piantate viti di uva bianca e nera, con preponderanza della varietà Monastrell. Il processo era semplice: l’uva veniva pestata nel “fonyador” (una grande tinozza) e lasciata riposare per nove giorni, durante i quali il succo d’uva fermentava e si trasformava in vino; a seconda dei gusti, era consuetudine aggiungere aromi come rosmarino, fregola, alle volte anche un po’ di miele: il vino dei contadini ibizenchi è il diretto discendente del vino dell’antica Roma. La produzione veniva poi conservata in botti di legno e servita in grandi bottiglie.”

“L’ultima immancabile lavorazione, nonché rituale che si svolgeva annualmente era “sa matança”, ovvero la macellazione del maiale per avere carne tutto l’anno. Si confezionavano salsicce come la tradizionale sobrasada, la butifarra, il butifarró o i camaiots, che venivano appesi in una stanza speciale della casa chiamata “casa de ses matances”, un luogo molto asciutto e ventilato della casa.”

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